Udienza preliminare davanti al gup a Milano
egione Lombardia non ha avuto alcun danno dalla donazione di 50mila camici da parte di Dama spa, l’azienda di Andrea Dini, cognato del governatore Attilio Fontana. E nemmeno dalla mancata consegna di altri 25mila pezzi. Al contrario, il Pirellone con questa operazione ha risparmiato ben 513mila euro che erano stati inizialmente pattuiti per la fornitura.
É questa la linea tenuta nel corso dell’udienza preliminare davanti al gup Chiara Valori dai legali di Fontana, gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa. Posizioni analoghe a quelle dei legali di altri due indagati, Filippo Bongiovanni, ex ad di Aria, la centrale acquisti del Pirellone, e Andrea Dini cognato del governatore. Entrambi erano presenti in aula, accompagnati dai loro legali, Domenico Aiello e Giuseppe Iannaccone.
Al centro dell’indagine, condotta dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dai pm Paolo Filippini e Carlo Scalas, c’è la fornitura di 75 mila camici e altri 7mila dispositivi di protezione individuale che Dama Spa aveva ottenuto da Aria nelle prime fasi della pandemia. Fornitura per la quale era stato pattuito un pagamento da parte di Regione Lombardia di 513mila euro e che poi è stata trasformata in una donazione di 50mila camici quando ‘Report’ aveva fatto emergere la vicenda, sottolineando il potenziale conflitto di interessi tra Fontana e il cognato. I restanti 25mila camici, invece, erano rimasti nei magazzini della Dama, che in un secondo momento aveva cercato di rivenderli. Abbastanza perché la Procura di Milano decidesse di contestare il reato di frode in pubbliche forniture a persone a Fontana, Dini, Bongiovanni, oltre che alla dirigente di Aria, Carmen Schweigl e a Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione.
E proprio la difesa del titolare di Dama Spa ha portato davanti al gup una serie di elementi che puntano a mettere in discussione il reato contestato. “Dini ha preso atto del fatto che il governatore gli ha detto di essere in imbarazzo e quindi ha fatto un passo indietro – ha spiegato il legale di Dini, l’avvocato Iannaccone -. Ci sono i documenti che attestano che quei camici Dini ha provato a donarli alla Regione, ma il Pirellone non ha mai accettato la donazione. Dini non ha commesso alcun reato”.
Per questo, l’avvocato Iannaccone ha chiesto che il suo assistito venga prosciolto. La stessa richiesta è arrivata anche dai legali di Fontana, gli avvocati Pensa e Papa. “Non c’è stato alcun illecito né di carattere penale né di carattere civilistico – hanno detto fuori dall’aula – bensì la fornitura che è diventata donazione e che ha consentito a Regione Lombardia di risparmiare 513 mila euro”.
Sulla base delle repliche della difesa Dini, la Procura ha precisato meglio il capo d’imputazione nel passaggio che riguarda il ruolo che avrebbero giocato i vertici di Aria Spa. In particolare, per i pm, i vertici della centrale acquisti di Regione Lombardia avrebbero dato esecuzione al presunto accordo tra Fontana e Dini per far risultare come donazione i primi 50mila camici consegnati e interrompere la fornitura degli altri 25mila “per far apparire rispettato il contratto”. Una decisione presa, secondo la Procura, per non danneggiare Dama Spa, che era stata costretta a rinunciare al guadagno per tutelare l’immagine del governatore. E proprio per questo, secondo i pm milanesi, Fontana il 19 maggio 2020 aveva disposto un bonifico da 250 mila euro partito da un conto svizzero sul quale nel 2015 aveva ‘scudato’ 5 milioni di euro. Fatti per i quali Fontana era stato indagato per evasione e poi archiviato.
Nella scorsa udienza i pm hanno ribadito la richiesta di processo per Fontana e gli altri 4 imputati. Il 9 maggio si tornerà in aula per eventuali repliche delle parti sulle modifiche al capo di imputazione, mentre il 13 maggio è attesa la decisione del gup su un eventuale rinvio a giudizio.
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