L'inchiesta riguarda un presunto "utilizzo di manodopera irregolare e clandestina" a partire dal 2015

Il tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani Operation Spa. Si tratta del ramo dell’omonimo colosso della moda che, con i 1212 lavoratori dipendenti, si occupa di fabbricazione di prodotti di abbigliamento, maglieria, camiceria, fabbricazione di calzature, borse. L’inchiesta riguarda un presunto “utilizzo e sfruttamento di manodopera irregolare e clandestina” a partire dal 2015, attraverso catene di subappalto con opifici cinesi. L’indagine dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone è stata condotta dal Nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri di Milano e partire almeno dal 2015. Il collegio dei giudici Paola Pendino, Maria Gaetana Rispoli, Giulia Cucciniello ha nominato il dottor Piero Antonio Capitini amministratore giudiziario della società per un anno.

Trovato ‘registro del nero’, 14 ore di lavoro al giorno

I pubblici ministeri di Milano Paolo Storari e Luisa Baima Bollone che indagano per caporalato nei laboratori cinesi lungo la filiera di Armani hanno trovato orari di lavoro da 14 ore al giorno “tra le 6.45 e e le 21. anche in giorni festivi”. I carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro che hanno condotto ispezioni in alcuni opifici in tutta Italia hanno trovato nelle aziende un “registro nero” che conferma come le “lavorazioni dei dipendenti sono sicuramente superiori a quelle comunicate agli enti previdenziali/assistenziali”. È quanto emerge dal decreto di 31 pagine con cui la sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per Giorgio Armani Operation Spa, il ramo dell’omonimo colosso della moda che si occupa di fabbricazione di prodotti di abbigliamento, maglieria, camiceria, fabbricazione di calzature, borse poi distribuite dal Gruppo.

Secondo l’inchiesta “l’azienda appaltatrice dalle case di moda dispone soltanto nominalmente di adeguata capacità produttiva” mentre in realtà può occuparsi solo della “campionatura del materiale” e non della “produzione dell’intera linea”. La competizione “sul mercato” viene garantita “solo esternalizzando le commesse ad opifici cinesi” e “riuscendo ad abbattere i costi grazie all’impiego di manodopera irregolare e clandestina”. 

Operai degli opifici vivono in capannoni 

Gli operai degli opifici cinesi attivi negli appalti di Armani avrebbero abitato in un “capannone” suddiviso “in un’area produttiva ed un’area abitativa, abusivamente realizzata”. È  quanto emerge dal decreto che ha disposto l’amministrazione giudiziaria per Giorgio Armani Operation Spa nell’inchiesta per caporalato della Procura di Milano lungo la filiera. La società del gruppo Armani è stata commissariata per la legge 231 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Secondo i pm Paolo Storari, Luisa Baima Bollone e i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro nella struttura ispezionato l’11 gennaio 2024 a Pieve Emanuele, nel milanese, in cui gli operai lavorano e vivono sarebbe “presente un soppalco al quale si accede attraverso una scala in ferro, che porta ad uno spazio unitario suddiviso con pareti in quattro locali di cui due adibiti a camere da letto”. Sarebbero “presenti letti matrimoniali (uno per camera), e armadi contenenti capi di abbigliamento”. Gli altri locali come “ripostiglio”. È stato trovato “un locale cucina e una stanza adibita a refettorio con all’interno tre tavoli con 22 posti a sedere, due piani ad induzione, due freezer a pozzetto, un frigorifero di grandi dimensioni”.

Presidente Tribunale Milano: “Nella moda ancora caporalato, serve tavolo con imprese”

L’inchiesta della Procura di Milano per caporalato che ha portato all’amministrazione giudiziaria di Giorgio Armani Operation per non aver impedito lo sfruttamento lungo la filiera è la “seconda misura di prevenzione” nel “settore della moda” dopo quella nei confronti di Alviero Martini spa. Lo afferma in una nota il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia, che chiede quindi di avviare “iniziative” come quelle nel “settore della logistica da parte della Prefettura di Milano”. “Un tavolo – afferma Roia – che consenta in via ulteriormente preventiva di cogliere le criticità operative degli imprenditori di questo che costituisce un settore di mercato di particolare rilevanza per il sistema economico nazionale”.

La sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano ha rilevato come la società del Gruppo Armani “non abbia mai effettivamente controllato la catena produttiva, verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalità di produzioni” pur “venendo a conoscenza dell’esternalizzazione di produzioni da parte delle società fornitrici”. Sarebbe stata omessa la “richiesta formale della verifica della filiera dei sub-appalti o di autorizzazione alla concessione dei sub-appalti, sino alla rescissione dei legami commerciali”. Si realizza, secondo i giudici, almeno un “rimprovero colposo” provocato da “l’inerzia della società” di fatto con una “condotta agevolatrice”. Con il commissariamento del tribunale per un anno la “società manterrà una piena operatività imprenditoriale ed una affidabilità di mercatoaddirittura rafforzata dalla presenza del Tribunale” fino alla “realizzazione delle prescrizioni operative” in intesa con proprietà e manager di Armani “sotto il primario controllo dell’amministratore giudiziario”. 

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