Il 22 giugno sarà presentato a Napoli il rapporto del Cnr
Gli effetti economici, politici e sociali della pandemia sulle regioni dell’area mediterranea, i mutamenti nella geopolitica globale, crescenti tensioni e conflitti, l’intensificarsi della competizione tra democrazia e autoritarismo, la sinergia tra mercato e Stato. Sono questi i temi al centro del “Mediterranean Economies 2021-2022” (ME21/22) quasi ventennale Rapporto curato dall’Istituto di studi sul Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismed), che sarà presentato il prossimo 22 giugno a Napoli, presso il Circolo Ufficiali della Marina Militare (via Cesario Console 3/bis). All’evento prenderanno parte la Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Maria Chiara Carrozza, il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, i professori Luigi Nicolais e Giovanni Tria.
“COVID-19 ha colpito pesantemente l’area, in termini di perdite umane e innescando una crisi senza precedenti. Nel 2020, nella maggior parte dei Paesi, il PIL è sceso di oltre il 7% e, in alcuni casi, come l’Italia, il calo (quasi il 9%) ha cancellato la crescita cumulata dei 20 anni precedenti. Tuttavia, alcuni Paesi come Egitto e Turchia hanno addirittura registrato un aumento del PIL reale. Il 2021 è stato un anno di ripresa, ma il futuro economico è ancora incerto a causa dell’attuale situazione geopolitica, dell’evoluzione della pandemia e degli interventi dei governi – spiega Salvatore Capasso, curatore del volume e direttore del Cnr-Ismed – La crisi economica è stata asimmetrica all’interno dell’area Med. Settori come turismo, sport, musica e arte hanno sofferto di più, in alcuni casi la loro attività si è arrestata; altri come l’alimentare sono andati relativamente bene”.
Gli interventi governativi a sostegno della domanda interna hanno svolto un ruolo centrale nel tamponare l’impatto negativo, particolarmente nei Paesi EuroMed, traducendosi però in un forte aumento dei deficit e dei debiti pubblici. Nel 2020, il debito pubblico mondiale ha raggiunto il picco storico del 97% del PIL, nel 2021 è cresciuto fino al 99%. Questi numeri impressionanti pongono rischi di instabilità finanziaria mondiale senza precedenti. La variazione media del debito pubblico dell’area mediterranea rispetto al PIL è pari al 14,32% nel 2020-2021. L’Italia raggiungerà un rapporto del 144%, il Portogallo del 123%, la Francia del 106%, l’Algeria salirà al 60,5%”, conclude il direttore ISMed.
Anna Maria Ferragina, docente dell’università di Salerno, considera la pandemia come un “esperimento naturale” per studiare come le imprese reagiscono a uno shock macro aggregato inatteso. “Studiando un campione di società italiane quotate in borsa, si vede che la prima e più immediata reazione a una maggiore esposizione ai rischi da COVID-19 porta le imprese a un aumento del debito totale e causa un’importante variazione di altri indicatori di stato patrimoniale (ROE e ROI). Il rischio percepito è correlato positivamente con l’ammontare totale dei debiti delle imprese, ma l’aumento dell’incertezza rispetto al futuro riduce la scelta delle imprese di contrarre debiti a breve termine a favore di quelli a lungo termine”.
Se l’impatto della pandemia sull’economia mondiale è stato grave, “le conseguenze sono state ancora peggiori per i flussi commerciali, diminuiti nel 2021 mediamente del 5,3%” sottolineano Giovanni Canitano e Luca Forte, ricercatori Cnr-Ismed.
“La pandemia e le conseguenti restrizioni hanno influito sul commercio mondiale attraverso: il calo della domanda di beni di consumo, dovuto alla chiusura della maggior parte di molte attività economiche non riguardanti il cibo e altri beni primari; l’interruzione delle catene di approvvigionamento, dovuta al blocco delle frontiere, che ha coinvolto il 94% delle aziende Fortune 1000. In definitiva, la maggior parte delle aziende integrate a livello globale ha subito la carenza di input per i propri processi produttivi e l’aumento dei costi dei servizi logistici”.
Allo stesso tempo, la pandemia ha alimentato e accelerato la trasformazione digitale già in atto. “Le tecnologie digitali si sono rivelate cruciali nel mitigare l’impatto della crisi, consentendo alle attività economiche e sociali di non subire brusche interruzioni, soprattutto nei Paesi con elevate infrastrutture di connettività. In particolare, la necessità di limitare i contagi ha indotto a consentire di lavorare da casa, favorendo la diffusione di strumenti come le piattaforme di videoconferenza”, ricordano Luisa Errichiello e Luigi Guadalupi, ricercatori dell’Istituto di studi sul Mediterraneo. I loro colleghi Immacolata Caruso e Bruno Venditto hanno preso in esame le migrazioni in Italia, rilevando che “le misure di contenimento per arginare il virus hanno ridotto significativamente i flussi migratori, ostacolando la mobilità, riducendo i nuovi arrivi regolari e irregolari e rendendo molto difficile la richiesta di protezione internazionale da parte di rifugiati e richiedenti asilo”.
“Nonostante gli immigrati siano stati infettati nelle stesse proporzioni dei nativi italiani, COVID-19 ha complessivamente ostacolato il loro processo di inclusione nel Paese. Non è tanto lo status dei migranti a rappresentare un rischio sanitario, quanto le condizioni precarie in cui vivono queste persone, ad esempio rispetto a un alloggio dignitoso, ai servizi sanitari locali, al contratto di lavoro o all’istruzione”. “La pandemia deve rappresentare un’occasione per ripensare i luoghi e gli spazi pubblici, per consentire una città più vivibile per tutti, ampliandone l’uso in modo sano”, aggiunge al riguardo Marichela Sepe, ricercatrice Ismed.
Marco Ferrazzoli e Cecilia Migali, dell’Ufficio Stampa Cnr, sottolineano che “la copertura della COVID-19 da parte dei media è diventata così pervasiva da meritare il termine di infodemia. Ma nella narrazione web, stampa e radio-tv si notano differenze profonde di trattamento, con un forte disinteresse rispetto alle sponde Sud ed Est del bacino”.
Il rapporto non ha potuto considerare le ricadute dell’attuale crisi ucraina, scoppiata durante l’uscita. Roberto Aliboni, Francesca Caruso e Andrea Dessì dell’Istituto affari internazionali (Iai), spiegano: “Analizzando i più recenti sviluppi geopolitici si è constatato che nell’ultimo anno della pandemia la regione Mena (Medio Oriente-Nord Africa) ha assistito a una pausa temporanea nei principali conflitti interregionali, a causa: da una parte, delle crescenti minacce economiche e sociali all’interno dei singoli Stati, che mettono a rischio la stabilità dei regimi e delle élite al governo; dall’altra, dell’incertezza sull’approccio che l’amministrazione di Joe Biden attuerà nella regione”.
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