Il presidente della Coldiretti Ettore Prandini a Milano per il convegno sulle risorse idriche
“Un Paese normale crea le condizioni per cui il settore agroalimentare venga fortemente valorizzato e difeso, noi dobbiamo avere oggi evidenza che subito dopo l’uso umano ci sia l’interesse agricolo e l’utilizzo di tutta l’acqua stoccata nelle prossime settimane per evitare perdite ulteriori visto che sulle semine autunnali del grano abbiamo perso fino al 30% del raccolto su alcuni territori e il 15% a livello nazionale. È un lusso che non ci possiamo permettere che mette in ginocchio interi comparti come quello zootecnico, c’è una parte di prodotto non acquistabile dall’estero e la conseguenza sarà la diminuzione del numero di animali allevati con esplosione dei costi, già in aumento, sui prodotti trasformati”. Lo dichiara il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, intervenendo durante “Sicurezza alimentare e qualità delle risorse idriche: le opportunità della normativa europea sul riuso delle acque depurate in agricoltura”, organizzato dall’Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazioni Miglioramenti Fondiari (Anbi), per dibattere del regolamento Ue varato nel 2020 e che entrerà in vigore nel giugno 2023 e che permette di utilizzare le acque di scarico nelle coltivazioni agricole a determinate condizioni e parametri sanitari.
“Non bisogna dare risposte sull’emergenza – ha detto Prandini in collegamento con il Palazzo delle Stelline di Milano dove si tiene il convegno – dobbiamo tornare a pianificare nel medio lungo periodo per arrivare a trattenere il 50-52% dell’acqua piovana e non l’11% come oggi. Dobbiamo implementare i terreni irrigui anche nelle aree interne d’Italia perché, abbiamo perso più di 800mila ettari che non avevano le caratteristiche produttive, con rese basse, e ovviamente portare acqua su questi terreni significa triplicare le rese e portare alla giusta redditività”.
Per il presidente della Coldiretti bisogna “investire in tempi brevi sui bacini di accumulo, come chiedevamo da anni. Anche le parole fanno la differenza: chiedere lo stato di calamità è un errore perché ci fermiamo a evidenziare solo un danno economico che ricade sulle imprese agricole e poi servono 2-3 anni per avere le risorse a favore delle imprese per cifre che sono esigue. Non dobbiamo chiedere lo stato di calamità ma lo stato di emergenza collegato all’intervento della protezione civile invece di caricare di ulteriori passaggi burocratici per avere la continuità dell’acqua nelle prossime settimane. Il momento è quello di fare delle scelte sull’acqua: in prima battuta c’è l’uso umano, in seconda battuta l’uso agricolo”.
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