Stavano tentando di riorganizzare la struttura di Cosa nostra ma carabinieri e polizia, con un’operazione congiunta, hanno scoperto i nuovi boss e soldati del mandamento mafioso di Brancaccio a Palermo. Sono stati 31 i destinatari di misure di custodia cautelare. Il gip del Tribunale, su richiesta del pool di magistrati della Dda, coordinati dal procuratore aggiunto Palo Guido, per 29 indagati ha disposto la custodia in carcere, mentre per altri due i domiciliari. I coinvolti sono accusati, a vario titolo, di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, detenzione di armi e stupefacenti, favoreggiamento personale ed estorsione. “La guerra di mafia non è finita. All’interno del mandamento c’era il tentativo di riorganizzare e ricostruire la struttura di Cosa nostra – ha detto il capo della Direzione centrale anticrimine della Polizia, Francesco Messina – si voleva creare una dimensione che fosse operativa”. Il blitz antimafia è stato l’epilogo di una lunga indagine della squadra mobile di Palermo e dello Sco, iniziata nel 2019, che aveva già portato a diversi fermi. Alcuni degli indagati sono stati rintracciati anche fuori dalla Sicilia, tra Reggio Calabria, Alessandria e Genova. Sei sono state le attività sequestrate: un’impresa del valore di 350 mila euro, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse. È stato svelato anche un nuovo business illegale che ruotava attorno gestione delle acque irrigue, impropriamente sottratte ad una conduttura di proprietà del Consorzio di Bonifica Palermo 2 e concesse solo agli agricoltori che intendevano pagare per ottenere la fornitura d’acqua. Gli affiliati alla famiglia mafiosa sarebbero intervenuti direttamente sulle condotte del consorzio, forzandole e incanalando l’acqua in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini. Ma c’è di più, perché nel corso delle indagini sono stati sequestrati anche 80 chili di droga ed “è emersa un’attività massiva di spaccio e traffico di sostanze stupefacenti – ha sottolineato il capo della Direzione centrale anticrimine – affari che hanno portato, nel corso di un anno, a guadagnare 4,5 milioni di euro”. La famiglia del mandamento però aveva le mani anche su un altro settore: la gestione delle piattaforme di gioco per le scommesse online, imponendo l’utilizzo di piattaforme di gioco che non avrebbero rispettato la normativa sulla prevenzione patrimoniale imposta dalle leggi italiane. Il guadagno derivante dai giochi online veniva versato dagli esercenti, in proporzione al ricavo, nelle casse della famiglia. I proventi sarebbero stati poi reinvestiti in alcune attività commerciali.