“Ormai siamo abituati a parlare del gaming come fosse una sostanza stupefacente e dimentichiamo che, anche quando esistono dei casi di dipendenza patologica, la causa del problema è sempre altrove”. Così Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile dell’Ambulatorio per la psicopatologia web mediata della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, contattato da LaPresse. “Inoltre il gaming è un metodo di apprendere formidabile – aggiunge -Tanti ragazzi imparano l’inglese in 6 mesi, giocando con un amico di Londra, conosciuto online”.
Durante la pandemia è aumentato l’uso di internet e dei videogiochi, conferma, ed è stata “una grande fortuna”. “Basti pensare a quanto i giovani abbiano sofferto il periodo del covid – spiega – L’identità di bambini e adolescenti si struttura proprio all’interno delle relazioni con il gruppo di pari. La pandemia ha limitato queste relazioni e per fortuna c’è stata la Rete, gaming compreso, a far mantenere loro le uniche relazioni possibili”.
Esistono casi di dipendenza, ma questo non deve creare timori particolari verso quelle che sono anche delle possibilità di crescita: “Ormai siamo abituati a parlare del gaming come fosse una sostanza stupefacente – dice – e dimentichiamo che anche quando esistono dei casi di dipendenza patologica, la causa del problema è sempre altrove. C’è sempre un’angoscia più profonda e l’oggetto della dipendenza, anche nel caso in cui sia il gaming, non serve a peggiorare la situazione o a perdere l’equilibrio ma a mantenere l’unico equilibrio possibile”.
Troppo spesso facciamo finta di non sapere che i ventenni, nativi digitali, “hanno un profilo cognitivo diverso, nel quale le immagini prevalgono sulle parole – continua Tonioni – Questo non è l’inizio della fine, ma soprattutto un processo evolutivo che crea delle difficoltà, non perché su internet succeda chissà cosa, ma perché nel frattempo la realtà, soprattutto quella scolastica, non si adegua. La scuola, i suoi mezzi e i metodi di insegnamento sono identici a 40 anni fa”. “Questo è emerso con la dad – chiosa – che ha creato più problemi agli insegnanti che ai ragazzi”.
Nell’era del Covid si è registrato un incremento di fobie, ossessioni, paranoie, soprattutto tra gli adulti, che sono state assorbite anche da bambini e giovani. Il mondo in tre anni è molto cambiato e certamente “i ragazzi hanno pagato il prezzo più alto”, ribadisce lo psicoterapeuta, secondo il quale, “i genitori non si devono allarmare per il numero di ore di gaming, ma si devono preoccupare se c’è un disinvestimento dal corpo, se il ragazzo non fa mai uno sport, non esce mai di casa. Non devono preoccuparsi se un ragazzo prende un brutto voto o va male a scuola, ma se smette di andarci. Perché smettere di andare a scuola non c’entra con l’istruzione, ma con le relazioni e con una profonda disistima di sé”.
“La verità è che i bambini sono stati durante tutta questa pandemia piccoli eroi, e internet e il gaming li hanno aiutati – conclude – Da genitori, dovremmo imparare a dare limiti e regole senza però pensare mai di ridurre i figli all’obbedienza, perché significa solo far accumulare rabbia. Le regole vanno date all’interno di trattative, tra due persone che si confrontano. E impariamo anche a chiedere loro scusa, quando ci rendiamo conto di aver sbagliato. Ne va della nostra autorevolezza”.